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Quanto durano i rifiuti di plastica nel mare PDF Stampa E-mail
Scritto da Michele Abbondanza   
Mercoledì 27 Marzo 2013 21:45
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Una infografica del Museo del Design di Zurigo, in occasione della mostra sul progetto rifiuti di plastica nel mare

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In occasione della mostra sui rifiuti di plastica in mare presso ilMuseo del design di Zurigo, è stata realizzata una infografica,pubblicata su Flickr, con la quale si evidenziano i tempi di decomposizione dei rifiuti di plastica nel mare.

Gli organizzatori della mosta evidenziano che da quando i prodotti in plastica prodotti in serie hanno reso la nostra vita più facile, il mare ha cominciato gradualmente a trasformarsi in una gigantesca "zuppa di plastica" - oggi non un solo chilometro quadrato di acqua di mare è priva di particelle di plastica.

La mostra presenta raccolte di immondizia di plastica da tutti i mari del mondo e illustra la piena portata di questa catastrofe ecologica. Inoltre, il progetto esamina i vantaggi e svantaggi della plastica e la sua influenza sulla salute, ma anche le azioni che si possono intraprendere per affrontare la problematica, come la riduzione, il riutilizzo o il riciclaggio.

Sul tema dei rifiuti antropici in mare, vedi i risultati del progetto Gionha

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Sala stampa ARPAT

 

Ultimo aggiornamento Mercoledì 27 Marzo 2013 21:45
 
Rifiuti di plastica: cosa farne? PDF Stampa E-mail
Scritto da Michele Abbondanza   
Mercoledì 27 Marzo 2013 21:41
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Un nuovo Libro verde lancia una riflessione a livello europeo. Aperta anche una consultazione on-line alla quale possono partecipare tutti i cittadini europei

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Il mondo d'oggi non può fare a meno della plastica. Materiale versatile e durevole, proprio per la sua durabilità pone però problemi di smaltimento. La Commissione Europea ha recentemente pubblicato un Libro verde allo scopo di lanciare una discussione articolata su come rendere più sostenibili i prodotti di plastica nell'intero ciclo di vita e ridurre l'impatto dei rifiuti di plastica sull'ambiente.

Janez Potočnik, Commissario per l'Ambiente, ha così dichiarato: "I rifiuti di plastica e la loro gestione rappresentano una grande sfida per la tutela dell'ambiente, ma sono anche una formidabile occasione per rendere più efficienti le nostre risorse. In un'economia circolare, in cui più si ricicla più si sopperisce alla scarsità delle materie prime, sono convinto che la plastica abbia un futuro. Invito tutti gli interessati a partecipare a questo processo di riflessione su come trasformare la plastica da problema a parte della soluzione."

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I rifiuti di plastica dispersi nell'ambiente, soprattutto nell'ambiente marino, possono resistere centinaia di anni. Ogni anno finiscono in mare fino a 10 milioni di tonnellate di rifiuti, perlopiù di plastica, facendo di mari e oceani la più grande discarica planetaria di questo materiale. (sull'argomento, con particolare riferimento agli studi realizzati da ARPAT vedi ARPATnews 083-12,097-12)

 

Nella nostra "società degli sprechi", che spesso vede la plastica come un materiale a buon mercato e monouso, si ricicla poco. Metà di tutti i rifiuti di plastica generati in Europa finisce in discarica, pratica che dovrebbe invece evitarsi perché la plastica, contenendo talvolta sostanze pericolose, può rilasciare sia emissioni nocive sia residui concentrati e inquinanti.

Il Libro verde evidenzia l'importanza della plastica in molti processi e applicazioni industriali e i benefici economici che potrebbero derivare da tassi di riciclaggio più alti. Con l'aumento della popolazione mondiale e il concomitante assottigliarsi delle risorse naturali, riciclare la plastica si porrà come alternativa allo sfruttamento delle risorse primarie. Per accelerare questo cambiamento occorre sostenere la progettazione ecocompatibile e l'innovazione ambientale migliorando il contesto normativo entro cui si inquadrano, ad esempio facendo in modo che nella progettazione dei prodotti di plastica siano contemplati gli aspetti della prevenzione e del riciclaggio dei rifiuti.

La legislazione UE vigente in materia di rifiuti non contiene norme specifiche che regolino i problemi particolari posti dai rifiuti di plastica: gli Stati membri sono sì tenuti a privilegiare la prevenzione e il riciclaggio rispetto ad altri metodi di smaltimento, e ciò per tutti i flussi di rifiuti indicati nella direttiva quadro sui rifiuti, ma è chiaro che questo approccio non è sufficiente. Con il Libro verde s'intende raccogliere dati e pareri per valutare l'impatto prodotto dai rifiuti di plastica e definire una strategia europea per mitigarlo. Gli interessati sono invitati a contribuire indicando se ritengono necessario modificare la legislazione vigente, e in che modo, per affrontare la questione dei rifiuti di plastica e promuoverne il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero, dando la preminenza a queste pratiche rispetto allo smaltimento in discarica. Il Libro verde, oltre a sollecitare pareri circa l'efficacia degli obiettivi potenziali di riciclaggio e delle misure economiche quali divieti di smaltimento in discarica, tasse sulle discariche e sistemi di tariffazione in base alla quantità di rifiuti prodotti ("pay-as-you-throw"), chiede come si può migliorare la progettazione modulare e chimica della plastica per aumentarne la riciclabilità, in che modo ridurre i rifiuti marini e se è utile promuovere la plastica biodegradabile.

Prossime tappe

La consultazione, che si articola in 26 domande, durerà fino all'inizio di giugno 2013. Il suo esito concorrerà a definire gli interventi da attuare su questo fronte nel 2014, nell'ambito più vasto del riesame della politica in materia di rifiuti: riesame che verterà in particolare sugli attuali obiettivi per il recupero dei rifiuti e lo smaltimento in discarica, e comprenderà una valutazione ex post di cinque direttive che disciplinano vari flussi di rifiuti.

Contesto

Nell'arco di poco più di un secolo la plastica è divenuta un materiale indispensabile nella progettazione e nella produzione di beni di consumo di massa. Dal 1950 al 2008, in soli 50 anni, la produzione mondiale di plastica è passata da un milione e mezzo a 245 milioni di tonnellate annue, seguendo un andamento che non accenna ad arrestarsi. L'ambiente marino è particolarmente vulnerabile ai rifiuti di plastica: l'80% degli enormi agglomerati di rifiuti che galleggiano sull'oceano Atlantico e Pacifico è costituito da plastica e a farne le spese sono le specie marine, che vi restano intrappolate oppure la ingeriscono. È proprio la presenza di questi residui sulle coste e nei mari più reconditi del pianeta che dimostra come vi sia un prezzo da pagare per la produzione eccessiva di rifiuti di plastica. La plastica convenzionale contiene peraltro svariati additivi chimici, talvolta in grandi quantità, che possono essere cancerogeni, provocare altre reazioni tossiche o perturbare il sistema endocrino.

L'attuale legislazione contiene già alcuni elementi strategici da cui partire per affrontare questo problema: tra gli aspetti contemplati dalla direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE) vi sono il principio del ciclo di vita, la priorità alla prevenzione rispetto alle operazioni di trattamento dei rifiuti, la responsabilità estesa del produttore, l'efficienza delle risorse e la loro conservazione, mentre laTabella di marcia verso un’Europa efficiente nell'impiego delle risorse, pubblicata nel 2011, e il Settimo programma d'azione per l'ambiente, proposto dalla Commissione nel 2012 e attualmente all'esame di Parlamento europeo e Consiglio, si spingono oltre, arrivando a considerare un obiettivo quantitativo di riduzione dei rifiuti marini di portata UE.

Per ulteriori informazioni:

 

 


Sala stampa ARPAT

 

Ultimo aggiornamento Mercoledì 27 Marzo 2013 21:46
 
Tanta vita sopra un vulcano morto PDF Stampa E-mail
Scritto da Michele Abbondanza   
Martedì 19 Marzo 2013 21:14

Durante un'indagine oceanografica è stata scoperta la presenza di un'enorme bio-costruzione che cresce al tetto di un probabile vulcano sottomarino al largo di Tropea (Calabria), dove organismi quali ricci, ostriche e coralli convivono spesso vicino a punti di fuoriuscite di fluidi.

La recente campagna oceanografica effettuata agli inizi di marzo a bordo della N/R OGS-Explora, che ha visto la collaborazione tra l'Istituto di scienze marine del Cnr di Bologna, l'istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale-OGS di Trieste e l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologica di Palermo, ha portato a una interessante scoperta: l'alto morfologico ipotizzato essere un vulcano sottomarino di età Pleistocenica, distante pochi chilometri dalla costa di Capo Vaticano (Calabria Occidentale), è ricoperto da coralli, ostriche, bivalvi, alghe e organismi di vario genere. Questi organismi nel tempo hanno formato uno strato di materiale organogeno, spesso anche più di 30 cm, che ricopre la parte sommitale del vulcano formando una bio-costruzione che si estende per circa 4.6 km2.

Questa scoperta è avvenuta nell'ambito del progetto di ricerca 'ISTEGE 2', il cui scopo era campionare i sedimenti e le acque in prossimità del fondale marino in due aree rivelatesi particolarmente interessanti per la presenza di numerosi flussi di fluidi provenienti dai sedimenti profondi. L'attenzione era stata posta in particolare su alcune fuoriuscite di fluidi che formano fontane alte fino a 6/7 m dal fondale e osservate lungo la parte sommitale del vulcano sottomarino. L'analisi delle acque e dei sedimenti campionati permetterà di chiarire l'origine di questo probabile vulcano e soprattutto permetterà di capire lo stadio evolutivo in cui esso si trova.

Le attività di acquisizione dei dati sono state coordinate dal Dott. Lorenzo Facchin (Capo Missione) dell'Ogs di Trieste e dalla Dott.ssa M. Filomena Loreto (Responsabile Scientifico dei progetti ISTEGE e ISTEGE 2) dell'Ismar di Bologna, in collaborazione con i Dott. Denis Sandron e Fabrizio Zgur dell'OGS di Trieste e il Dott. Francesco Italiano dell'Ingv di Palermo.

Per informazioni: M. Filomena Loreto, ISMAR-CNR, Bologna, Via Gobetti, 101, tel. 051/6398878, e-mail:  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

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Immagine: a sinistra due foto degli organismi trovati al tetto del vulcano, identificabile dalla morfo-batimetria ad alta risoluzione (in alto a dx). Il profilo sismico ad altissima risoluzione mostra una fontana di fluidi alta fino a 6/7 metri

 

 


 

Ufficio stampa CNR

 


 

Ultimo aggiornamento Martedì 19 Marzo 2013 21:14
 
CO2 causa dell’ultima deglaciazione PDF Stampa E-mail
Scritto da Michele Abbondanza   
Martedì 19 Marzo 2013 21:08

Lo studio europeo pubblicato su 'Science' che coinvolge l’Idpa-Cnr ha dimostrato, grazie a una tecnica innovativa, come in Antartide l’aumento dell’anidride carbonica sia stato contestuale all’incremento della temperatura che ha portato alla fine dell’ultima era glaciale. Una nuova prova dell’influenza di questo gas serra sul clima terrestre

L’anidride carbonica è tra i fattori che hanno provocato l’innalzamento della temperatura in Antartide causando la fine dell’ultima era glaciale. A rivelarlo, con un articolo pubblicato su 'Science', è un’équipe europea che comprende scienziati dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr) di Venezia.

“Abbiamo analizzato cinque carote di ghiaccio prelevate in Antartide, le cui parti più antiche risalgono a 800.000 anni fa. A differenza di quanto ritenuto finora, abbiamo scoperto che circa 20.000 anni fa, al termine dell’ultima era glaciale, la temperatura antartica e la CO2 sono aumentate contemporaneamente”, spiega Carlo Barbante, direttore dell’Idpa-Cnr e coautore del lavoro. “I precedenti studi sostenevano invece che il riscaldamento del continente antartico avesse preceduto di circa 800 anni l’aumento del gas in atmosfera. La sincronia provata con il nostro studio indica che l’anidride carbonica non solo ha giocato un ruolo essenziale nel riscaldamento del nostro pianeta, ma potrebbe essere stato un fattore scatenante”.

Gli scienziati sono giunti a questa conclusione applicando una tecnica innovativa. “Mentre la temperatura antartica è ricostruibile dall’analisi isotopica degli strati di ghiaccio”, prosegue Barbante, “i gas atmosferici sono analizzati nelle bolle d’aria racchiuse nel ghiaccio. Poiché l’aria si diffonde negli strati superficiali della neve, ne risulta che il ghiaccio intrappola delle bolle d’aria che hanno un’età inferiore di quelle del ghiaccio alla stessa profondità. Questa differenza di età complica di molto lo studio del processo di causa ed effetto tra l’innalzamento della temperatura ed il ruolo svolto dai gas serra. Per ricostruire l’esatto scarto temporale tra innalzamento della temperatura e incremento del gas abbiamo analizzato per la prima volta gli isotopi di azoto contenuti in queste bolle d’aria, constatando che i due fenomeni sono avvenuti in modo sincrono, entro un errore sperimentale di circa 200 anni”.

Un dato che conferma l’influenza della CO2 sul clima terrestre. “E che offre nuovi elementi per determinarne l’attuale incidenza. Abbiamo però bisogno di nuovi risultati e modelli climatici sperimentali per comprendere meglio il peso dei vari fattori sull’ultima deglaciazione”, conclude il direttore dell’Idap-Cnr.

La scheda

Chi: Istituto per la dinamica dei processi ambientali (Idpa-Cnr)

Che cosa: Studio sulle cause dell’ultima deglaciazione pubblicato su 'Science', 'Synchronous change of atmospheric CO2 and Antarctic temperature during the last deglacial warming',F. Parrenin V. Masson-Delmotte, P. Köhler, D. Raynaud, D. Paillard, J. Schwander, C. Barbante, A. Landais, A. Wegner and J. Jouzel

Per informazioni: Carlo Barbante, direttore Idpa-Cnr di Venezia, tel. 041/2348942

Ufficio Stampa Cnr: Cecilia Migali, tel. 06.49933216,e-mail:  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
Capo Ufficio Stampa Cnr: Marco Ferrazzoli, tel. 06.49933383, cell. 333.279671, e-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

 

 


Ufficio stampa CNR

 

Ultimo aggiornamento Martedì 19 Marzo 2013 21:09
 
Mediterraneo, una storia di tsunami PDF Stampa E-mail
Scritto da Michele Abbondanza   
Martedì 19 Marzo 2013 21:06

I dati geologici dei nostri fondali dimostrano la relativa frequenza, nel Mare nostrum, di eventi catastrofici come quello che nel 365 d.C. provocò 45 mila vittime. A dirlo lo strato di sedimenti noto come ‘Homogenite o megatorbidite Augias’, negli abissi dello Ionio, studiato con tecnologie ad alta risoluzione dall’Ismar-Cnr. La scoperta è pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature

Un gruppo di scienziati italiani, coordinato da Alina Polonia dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr), ha identificato, al largo delle coste siciliane, le tracce di un terribile tsunami, che circa 1600 anni fa colpì il Mediterraneo. La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, riguarda un’area abissale di sedimenti marini che raggiunge i 25 metri di spessore, alla cui base si trovano depositi grossolani, trascinati a quelle profondità dalla forza catastrofica delle correnti di densità.

“Il deposito è noto con il nome di ‘Omogenite o megatorbidite Augias’ e occupa larga parte del Mediterraneo orientale”, spiega Alina Polonia. “Per comprendere la sua origine erano state fatte varie ipotesi; tra queste, la più accreditata era l’esplosione del vulcano Thera (Santorini), avvenuta nel 1627-1600 a.C., che distrusse la civiltà minoica. Secondo gli studi del nostro team la causa di quest’enorme deposito sedimentario fu invece uno tsunami generato dal terribile terremoto che colpì Creta nel 365 d.C., con una magnitudo valutata tra 8 e 8.5 gradi della scala Richter”.

I ricercatori sono giunti alle loro conclusioni analizzando una grande mole di dati geofisici e geologici, “che includono immagini acustiche ad altissima risoluzione del deposito sedimentario e carote di sedimento estratte dal fondale marino a quasi 4.000 m di profondità”, spiega la ricercatrice. A consentire questa scoperta è stata proprio la grande accuratezza con cui si è determinata l’età dei depositi e la loro provenienza da diverse zone del Mediterraneo. “L’effetto di un terremoto e dell’onda di tsunami può essere infatti la mobilizzazione di una quantità enorme di sedimenti, che da tutte le zone costiere vanno a depositarsi nella parte più profonda del bacino”.

A confortare le conclusioni scientifiche anche la testimonianza dello storico latino Ammiano Marcellino (330-397 d.C.) secondo cui ad Alessandria d’Egitto, a oltre 700 km di distanza dall’epicentro, in occasione del terremoto onde altissime penetrano nell’entroterra, provocando una grande devastazione e migliaia di vittime. Un aspetto interessante è la scoperta da parte dei ricercatori di altri eventi di proporzioni simili, a profondità ed età maggiori. Questo suggerisce che l’evento del 365 d.C. non sia stato unico nella storia del nostro mare. “Il tempo di ricorrenza dedotto dalle analisi radiometriche è comunque molto alto, dell’ordine di 15.000 anni”, rassicura Alina Polonia.

Roma, 15 marzo 2013

La scheda

Chi: Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr di Bologna e Ogs, Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale di Trieste.

Che cosa: Scoperti gli effetti catastrofici del terremoto di Creta del 365 d.C. nel Mar Ionio. Campagna Cnr/Urania CALAMARE del 2008 (CALabrian Arc MARine geophysical Experiment) finanziata dal progetto europeo TOPOMED (Plate re-organization in the western Mediterranean: lithospheric causes and topographic consequences):http://www.nature.com/srep/2013/130215/srep01285/full/srep01285.html

Per informazioni: Alina Polonia, Ismar-Cnr, tel. 051/6398888, e-mail:  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.


Ufficio stampa CNR

Ultimo aggiornamento Martedì 19 Marzo 2013 21:06
 
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